Ascanio Tacconi

Scultore

Chi sono

“Uno spirito intorno tutto sparso, / una silente, palpitante vita
a un attimo di quiete avea legato / della mortal natura la fatica.
E tuttavia sentivo che il centro / della magica spera
era una cara forma che amore infondea dentro / all’immobile atmosfera.”

Percy Bysshe Shelley, 1822.

“Le sculture di Ascanio Tacconi alludono all’immutabilità, all’eterna conservazione delle fragili fattezze dell’umano. Effigi dedite al contempo alla più rigorosa verosimiglianza così come all’idealizzazione, nel suo lavoro trapela la tempra di uno spirito dichiaratamente romantico che include le tensioni emotive del non-finito michelangiolesco assieme alle perturbate voluttà corporee che furono del maestro Gericault.

Nondimeno, qualcosa di sapore neoclassico, come una romantica nostalgia dell’ideale bellezza antica, è palese nella ritrattistica, dove pur sempre prevale la maestria e il prestigio di rigorosi ed appassionati studi accademici.

Gli incanti di figure infantili assorte nella contemplazione di un uccelletto defunto, le audacie di adolescenti bellezze muliebri, gli ardimenti e le baldanze di uomini nell’acme della vita, resi sovente con sprezzante disinvoltura, alla maniera di bozzetti, con le irregolari imperfezioni della tecnica, sono un compendio in cui la divina Anatomia, contemplata con talento scrupoloso e filologico, permette la l’immobilità contemplativa, la permanenza e l’Eterno.

Come una in sorta di imbalsamazione che si affida al transitorio calore della terracotta, il ritratto ora pone un rimedio alla caducità dell’esistenza e con intenti animistici fissa per sempre quanto è effimero e caduco.

L’iconografia riguarda pur sempre il melodramma e la poesia, e dunque, al di là della fenomenologia e del naturalismo, nelle sue opere è opportuna la nozione di Musa, che riguarda un soggetto ideale e trascendente derivato dal verbo stesso dell’ispirare.

Ecco allora nell’inseparabile unione del bello e del triste, l’eco di una bellezza medusea, tormentata e contaminata, il diletto per la decadenza melanconica, l’apogeo dell’estetica del terribile che si era andata svolgendo verso al fine del secolo decimottavo.

E ora, In un’epoca dominata dell’ipertecnologia e dall’utopia fagocitante, la sua raffinatissima maniera, stramba, anacronistica e devota all’antico, ha il merito di restituire al presente il trasalimento e l’arrendevolezza di compiante atmosfere passatiste e antiquarie che riguardano gli interni borghesi e aristocratici, dove negli angoli ben illuminati, davanti alle tende di fiandra e sopra ai piedistalli preziosi, si ergono fiere le immortali effigi di giovani ed indimenticati antenati.”

di Patrizia Silingardi